Wau, gli aquiloni tradizionali malesi

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Malese di Terennganu con wau bulan- archivio Cristina Del Mare

Malese di Terennganu con wau bulan- archivio Cristina Del Mare

articolo di Cristina Del Mare

In Malesia sembra che passato e presente abbiano fatto un patto di complicità.  Un paese dove ci si può imbattere in paesaggi e personaggi letterari immersi in progressiste città dai grattacieli più alti del mondo. Nei colori dell'ambiente si può leggere la storia stessa della Malesia. Il verde screziato della foresta pluviale, la più vecchia del pianeta, che ha tenuto a freno uomini e modernità. Il bianco degli stretti sabbiosi che offrirono approdo ai commerci tra India e Cina. Il rosa ocra delle miniere a cielo aperto di stagno e zinco, l'industria che ha reso ricco il paese per decenni. Il glauco uniforme delle piantagioni di gomma e di palme da olio, lascito dell'economia coloniale. 

Negli stati di Kelantan e Terengganu, Kedah e Perlis, a nord est del paese, i contadini al lavoro nell'ondeggiare verde delle risaie, accolgono sorridenti e riservati gli ospitali nei kampung, i villaggi agricoli malesi. Soprattutto durante il periodo del raccolto, gli uomini mostrano la loro passione e abilità nel costruire gli wau, i giganteschi aquiloni fatti con listelli di bambù e un collage di carte dai colori sgargianti decorate con simboli intricati, che sembrano derivare il loro nome da una lettera araba, و, che si pronuncia “waw”. Una leggenda vuole che i contadini usassero gli aquiloni come una specie di spaventapasseri volanti a guardia dei campi, mentre un’altra tradizione racconta che il suono uniforme prodotto dagli aquiloni teneva tranquilli i bambini, in modo che gli adulti potessero dedicarsi ai propri lavori con poche interruzioni. 

Nella realizzazione di un wau, il bambù è indispensabile perché utilizzato per creare la struttura portante. Le canne di bambù vengono tagliate in listerelle e immerse in acqua due settimane, per conferire più flessibilità e impedire che vengano attaccate dai parassiti. I calibrati listelli di bambù sono assemblati in un telaio complesso ma leggero, che viene interamente ricoperto con uno strato di carta sottile. Su questa base impalpabile, sono incollati i successivi motivi decorativi, intagliati in finissime trine traforate con l’aiuto di bisturi taglienti. Il tipo di decorazioni sembra essere stato ispirato dall’arte degli intagliatori di legno, adattandone il metodo di lavorazione a intaglio.  Ad uno ad uno i merletti di carta sono applicati in sovrapposizione, utilizzando colori diversi e qualità di carte differenti, tra cui la stagnola lucida, per ottenere motivi densi e complessi, suntuosi e vibranti. Maggiore è l’armonia cromatica delle diverse applicazioni, più un aquilone è apprezzato e più riesce ad esprimere l’animo del suo creatore, o come avviene sovente, del team di artefici.

Al centro delle sagome alate è un grande simbolo fiorito, chiamato ibu, “madre di tutta la vita”. È proprio questo simbolo vitale che caratterizza gli aquiloni tradizionali, affiancato da altre tramandate simbologie come un tralcio di vite che si dispiega dalla base dell’aquilone fin sulle ali. Nelle ali vi è un’area che rimane solitamente non decorata. Si pensa possano essere gli occhi dell’aquilone stesso.

Wau bulan - archivio Cristina Del Mare  wau bulan. archivio Cristina Del Mare

Esistono diversi stili regionali malesi di costruzione e design degli aquiloni, che ne definiscono la denominazione, ognuna riferita alla simbologia figurativa che dà forma alla parte inferiore della struttura e per le sue specificità decorative e cromatiche. Wau kuching (kuching = gatto), wau jalabudi (jalabudi =donna), wau merak (merak = pavone) e soprattutto il wau bulan (bulan = luna), il più popolare e diffuso, la cui coda ricorda la falce di una luna crescente, dalle imponenti dimensioni (fino a 2,5 m. di larghezza e 3,5m. di lunghezza). Il wau bulan è normalmente decorato con ampi motivi dai vivacissimi colori che ne rendono subito visibile l’esuberante intensità mentre è in volo.

Oltre alle prestazioni di volo e all’attrattiva estetica, anche il suono prodotto dall’aquilone, o dengung come viene chiamato, ha grande importanza. Per accentuare questa caratteristica vengono fissati degli archetti di bambù o rattan (detti busur) alle estremità superiore della struttura, in modo che le vibrazioni prodotte dal vento sulle sottili corde dell’archetto, producano un sibilo acuto e costante. Il suono creato, dipende dalla forza del vento. Più alto vola l'aquilone e più veloce è il vento, più intenso sarà il tono sonoro. Oltre ad aiutare gli abitanti dei kampung a rilassarsi, si crede che il suono del busur spaventi gli spiriti maligni, allontanandoli. La pratica di avvalersi dei suoni e rumori nei rituali apotropaici è comune a molte culture diverse, basti pensare al suono delle campane delle nostre chiese con funzioni di liberazione dal male nelle sue diverse e concrete manifestazioni, o il suono di tamburi, gong e mortaretti in numerose festività cinesi che avevano lo scopo di esorcizzare il male e i demoni e propiziare abbondanza.

Oggi in Malesia si organizzano numerose gare agonistiche di wau a cui partecipano anche molti giovani affascinati dalla tradizione ereditata dai padri. Ma far volare gli aquiloni non è solo un gioco o una competizione. È ancora un mezzo per mantenere vivo l’intimo rapporto tra uomo e lo spirito della natura, quasi che i wau fossero messaggeri di desideri tutelati, e avessero un'anima propria, sacrale. Concezione animista, quasi magica, che in Malesia è tollerata e coesiste con il rigore musulmano, perché parte di una cultura più antica.

 

Cristina Del Mare, laureata all’Università Cattolica di Milano in Antropologia Culturale, è etnologa e studiosa di arti applicate. Ha trascorso gli ultimi trent'anni impegnandosi nella ricerca etnografica, realizzando pubblicazioni monografiche con particolare attenzione ai significati simbolici dell'ornamentazione tradizionale e all’aspetto identitario del gioiello quale elemento rivelatore della cultura d’appartenenza.  E' stata ideatrice e curatrice di numerose mostre riguardanti diverse tematiche del gioiello, tra cui il ciclo di otto esposizioni, corredate da altrettanti cataloghi, "le Vie del Corallo" e "Mirabilia Coralii", che ha evidenziato gli aspetti storici, artistici, simbolici e antropo-poietici legati alla gemma mediterranea. Già curatrice del Museo del Gioiello di Vicenza, collabora con l’Osservatorio per le Arti Decorative dell’Università di Palermo e con il Centro Studi e Ricerche Ligabue di Venezia.

 

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Wau Making With Pakcik Yasok

Malaysia's dying art: Traditional kite-making in peril

Wau Making, Kelantan

Sezione: ASIA SUL WEB > ARTI TRADIZIONALI

Area: 
Sud-est asiatico
Data pubblicazione: 
17/06/2021