Il pashtun armato

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Il pashtun armato - di Elisa Giunchi

Elisa Giunchi

Il pashtun armato
La diffusione delle armi da fuoco in Afghanistan e il declino dell’Impero britannico(1880-1914)

Mondadori Università, Milano, 2021

pp. 264, Euro 20,00

ISBN 978-88-618-4742-2


Il libro di Elisa Giunchi, professore presso l’Università degli Studi di Milano, dà un contributo significativo a diversi campi storiografici – la storia delle relazioni internazionali, la storia dell'Asia e la storia economica – durante il passaggio cruciale tra Ottocento e Novecento. L'autrice presenta un interessante caso di studio – quello del legame tra la crescente diffusione di armi da fuoco tra i pashtun afgani e la crisi dell'Impero britannico – e ha il merito di sottolineare la complessità delle questioni economiche e delle trame politiche nella regione compresa tra l'Afghanistan, l’India britannica ed il Golfo Persico. Nel contesto dell'attuale dibattito sugli imperi, viene giustamente richiamata l'attenzione sulle diverse modalità – e sui limiti – della presenza britannica nel sistema geopolitico dell'Asia centrale e meridionale.

Sottolineiamo qui quanto sia fondamentale per la storia dell'Impero britannico il periodo 1880-1914, a cui Elisa Giunchi si è interessata. In Asia centrale e meridionale esso fu contrassegnato, com’è noto, dalla rivalità politica con la Russia per l'Afghanistan e, nel Golfo Persico, da una crescente presenza di altri concorrenti europei, in particolare Francia, Germania e Belgio, che aumentarono notevolmente i loro traffici di moderne armi da fuoco e crearono vive preoccupazioni tanto a Londra, quanto a Calcutta.

Fu alla fine del XIX secolo, infatti, che l’accrescersi della rivalità intraeuropea e la sua proiezione verso gli scenari coloniali stimolarono il miglioramento e l’aumento della produzione delle armi da fuoco. Con il riarmo dell'Europa crebbe l'esportazione di armi di nuova generazione in Asia, sia tramite canali legali, sia attraverso reti illegali, che coinvolgevano funzionari consolari, avventurieri (nel libro è ben tratteggiata la figura del francese Antonin Goguyer, attivo nel Golfo ai primi del Novecento) e commercianti locali. All'inizio del XX secolo, una delle regioni più toccate dalla proliferazione di armi provenienti dall'Europa, che venivano contrabbandate attraverso il Golfo Persico, era l'Afghanistan meridionale, alle porte dell'India, in un contesto geopolitico di cruciale importanza per l'Impero britannico, che cominciava allora a percepire i primi segni di quel declino che si sarebbe accentuato dopo la Prima guerra mondiale.

Questo libro di 247 pagine è scritto molto bene e perfettamente strutturato in sette capitoli, allo stesso tempo tematici ed organizzati cronologicamente.

La prima parte dello studio si occupa della diffusione delle armi da fuoco in Asia centrale e nel subcontinente indiano tra il XVIII e il XIX secolo (pp. 21-46): qui l'autrice sottolinea giustamente l'importanza del ruolo svolto da europei e ottomani nella diffusione della nuova tecnologia militare di provenienza occidentale (non solo europea, quindi, ma anche ottomana).

Il principale punto di forza di questo libro riguarda, però, l'affascinante e documentatissima analisi (pp. 47-166) dei legami tra la capillare distribuzione delle armi da fuoco nell'Afghanistan meridionale, la cosiddetta “aggressività” delle tribù pashtun e la crisi dell'Impero britannico in India.

Fu infatti solo tra il 1880 e il 1901 che furono definiti, sotto il regno del sovrano afgano Abdur Rahman Khan, i confini con l'India britannica, in particolare la famosa Linea Durand. La comunità pashtun, senza essere stata consultata, si trovò arbitrariamente divisa tra Afghanistan e India. Nel 1901, dopo aver represso un'insurrezione su larga scala, gli inglesi crearono la Provincia della frontiera del nord-ovest (North-West Frontier Province): i pashtun delle pianure furono quindi amministrati separatamente – mentre in precedenza lo erano da Lahore – e i pashtun delle colline e delle montagne al confine con l'Afghanistan divennero soggetti alle “agenzie tribali” di nuova istituzione, amministrativamente collegate al governo britannico dell'India.

Nel sesto capitolo (pp. 167-198), l'autrice passa ad un tema più marcatamente socio-culturale ed apre una parentesi sul ruolo dei pashtun nel discorso coloniale britannico. Il maschio pashtun veniva solitamente presentato come “virile” – di una virilità simile a quella dei dominatori britannici – e completamente diverso dall’indù, “effeminato” e privo di qualità marziali. Elisa Giunchi, giustamente, sottolinea che questa dicotomia pashtun/indù può essere spiegata dall'apprezzamento che gli inglesi mostrarono per il codice pashtunwali (che governa la vita dei membri delle tribù e che si basa su tradizioni vecchie di secoli, precedenti all’arrivo dell'islam in Afghanistan), considerato l’esempio evidente della fierezza di una “razza” marziale.

Infine, nell’ultimo capitolo (pp. 199-217), l'autrice ritorna sulla situazione politica dell’Afghanistan ed analizza il tentativo britannico di disarmare i pashtun al confine dell’India. I contributi degli archivi della Cambridge University Library, della School of Oriental and African Studies e dell'India Office le consentono di esplicitare con chiarezza come, nell’ambito della geopolitica britannica ed all'interno del consolidato “ordine mondiale” europeo precedente alla Prima guerra mondiale, questo tentativo sia stato portato a termine in modo largamente incompleto: se da un lato, dopo l'Entente cordiale del 1904, la Francia rinunciò a competere con la Gran Bretagna nel traffico di armi nel Golfo e se, dal 1905, con la sconfitta della Russia contro il Giappone, l'India britannica smise di armare i sovrani afgani contro i russi, la proliferazione delle armi lungo la “frontiera” pashtun non si fermò mai del tutto, alimentata da un numero crescente di armerie locali sempre più attive. Elisa Giunchi riesce a combinare in modo magistrale vari temi in un racconto coerente e molto completo, facendo di questo libro sia un utile strumento di lavoro per gli storici, sia una lettura interessante e piacevole per i non specialisti: la sua padronanza della bibliografia, la varietà delle fonti consultate e la sua scrittura fluida (penalizzata solo da qualche innocuo refuso) ne fanno un’opera valida che, fra l’altro, invita a diffidare della bontà dei grandi modelli storiografici, adottando invece un atteggiamento mentale aperto a una pluralità di fonti e ad una metodologia più induttiva.

A parere di chi scrive, tanto l’autrice, quanto l’editore, farebbero bene a valutare la realizzazione di una nuova edizione in inglese, per favorire la diffusione internazionale di un lavoro che al momento – per ovvie ragioni linguistiche – non può che essere limitata. In ultima analisi, questo è un libro ben documentato e vivace, che non trascura le implicazioni internazionali necessarie per la comprensione delle relazioni tra Afghanistan, Gran Bretagna e India, di fronte alle conseguenze economiche, politiche e militari della diffusione delle armi da fuoco nel contesto geopolitico della “frontiera” pashtun.

SEGNALIAMO:
Nei prossimi mesi uscirà anche la riedizione del libro dell'autrice pubblicato nel 2007 sull'Afghanistan ("Afghanistan. Storia e società nel cuore dell'Asia", Carocci) con il nuovo titolo "Afghanistan. Da una confederazione tribale alle crisi contemporanee".

Recensore: 
Massimiliano Vaghi
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Area: 
Asia meridionale
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Data pubblicazione: 
03/10/2021