Fosco Maraini ricorda Guglielmo Scalise

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 A quasi 40 anni dalla sua pubblicazione sul n.1 di Quaderni Asiatici, la rivista del Centro di Cultura Italia-Asia,  abbiamo pensato di riproporre l'articolo di Fosco Maraini che ricorda Guglielmo Scalise a pochi mesi dalla morte.

RICORDO DI GUGLIELMO SCALISE
articolo di Fosco Maraini

Il Centro di Cultura Italia-Asia è intitolato a Guglielmo Scalise, ma quanti sanno chi questi sia stato? 
Riteniamo, pertanto, opportuno riportare quanto ebbe occasione di dire di Lui l'illustre orientalista Fosco Maraini, nostro socio onorario, nella riunione annuale dell'Associazione Italiana per gli Studi Giapponesi (AISTUGIA), tenutasi a Firenze il 22 maggio 1976, nella sua qualità di Segretario Generale di essa. 

L'autunno scorso è scomparso, ad 84 anni, uno dei nostri soci onorari, Guglielmo Scalise, il Generale Guglielmo Scalise. Egli era doppiamente legato a noi - da un lato come eminente cultore di studi giapponesi, dall'altro come padre di Mario Scalise, amico, e per alcun tempo anche consigliere della nostra Associazione. 

Parlare di Guglielmo Scalise potrebbe sembrare impegno particolarmente difficile, oggi. Viviamo in tempi di ferro, violentemente partigiani. Chi nasce e vive da guelfo rischia d'esser dimenticato, frainteso, condannato senza appello, appena sono in auge i ghibellini - e viceversa. Questa è una triste, forse terribile realtà che ci rende schiavi di schemi, mentre dovremmo essere sempre aperti ai genuini valori umani delle singole persone, dei singoli individui. E' un mondo che ci condanna ai bianco-nero, luce-buio, bene-male assoluti d'una visione manichea del mondo, facendoci spesso perdere di vista splendide, feconde ricchezze umane, soltanto perchè si sono manifestati al di là di certi confini. 
Inviterei a reagire con tutte le forze a questa imposizione dei tempi. 
Guglielmo Scalise nacque in Calabria, a Marcellinara, un paesino dell'entroterra catanzarese, nel 1891. Chiunque conosce un po' la Calabria sa questo: che i suoi abitanti posseggono un voltaggio psichico altissimo, un'intensità interiore che partecipa della folgore, in linguaggio tantrico potremmo dire adamantina - e come v'è un Tantra della mano destra che mette i propri segreti poteri a servizio del bene, accompagnato da un Tantra della mano sinistra che agisce solo ai fini d'un predominio di forza, così vi sono calabresi della luce e calabresi delle tenebre. Sempre restando nel territorio della simbologia, la Calabria fa pensare a quei mandala imaginifici in cui ad un Kongo-kai, un universo diamante, si contrappone un Daizo-kai, un universo uterino, l'intelletto contrapposto al sangue, Parmenide (ch'era calabrese) ad Erac1ito, Gioacchino da Fiore al "Padrino". 
I calabresi della luce, oltre a portare in cuore una fiamma d'amore capace d'intensità fuori del comune, respirano fin dalla nascita un'aria nella quale si muovono per ogni dove echi d'una antichissima civiltà, d'una cultura con le radici nel più remoto passato. Poeti, retori, fisolofi, artisti della Magna Grecia passarono più tardi la fiaccola a monaci, eremiti, visionari, facendo da ponte tra Levante e Occidente, tra Bisanzio e Roma, talvolta tra la Mecca e Roma.

Guglielmo Scalise, eminente calabrese della luce, trovò in questa ricchezza particolare della sua terra i motivi d'una duplice vita - duplice non nel senso tenebroso di una che si cela all'altra, ma in quello vitale e solare di una che feconda l'altra. La duplice vita cioè del militare che allo stesso tempo è anche studioso, uomo di cultura, umanista. 

I dati esteriori della vita militare di Guglielmo Scalise sono, direi, preordinati dal fatto d'esser nato nel 1891 e d'essere entrato alla Scuola militare di Parma nel 1914. Ne conseguono logicamente: partecipazione al conflitto 15 -18, alle operazioni di Libia, alla seconda guerra mondiale. Da questa, dal fronte greco, Guglielmo Scalise venne improvvisamente allontanato nel 1941, a causa di un gravissimo male che lo vide in fin di vita. 

Già nella carriera delle milizie prevalsero in Guglielmo Scalise gli interessi che richiedevano applicazione, studio, l'esercizio delle più fini qualità intellettuali. Nel 1922 lo troviamo allievo della Scuola di guerra di Torino ciò che lo qualificò al trasferimento nel Corpo di Stato maggiore - nel quale esplicò per numerosi anni le sue attività. Nel 1934 ebbe luogo un evento che modificherà poi in profondo la sua vita: venne nominato Addetto Militare in Giappone, posto che coprì fino al 1939. 

Chi vi parla ricorda benissimo - arrivando a Tokio nel 1938 - d'essere stato invitato a casa di Guglielmo Scalise. Come descrivere Tokio nel dicembre del 1938? Certo, era profondamente diversa da quella di oggi. Un altro mondo! Ricorderò sempre, al termine d'un lungo viaggio per mare - dopo Aden, Bombay, Colombo, Singapore, Hong Kong, Manila, porti animati, tutti luce, colore, festa, pieni di gente che passava da un mercato, da un bazar all'altro - ricorderò sempre l'impressione quasi angosciosa di buio, di silenzio, di freddo datami da Tokio. Eravamo non solo passati dall'estate dei tropici ad un rigido inverno quasi nordico, dal sole ad un cielo coperto, pesante, plumbeo - ma dalla spensieratezza al sospetto, ad un mondo samurai-confuciano in cui l'olio degli inchini e dei complimentosi saluti celava timori, spionaggi, intrighi fanatismo senza perdono. Tokio era una capitale che faceva finta d'essere in pace, ma era in guerra; una capitale solenne, austera, dove sotto il velluto sentivi l'acciaio. Era difficile racapezzarsi in questo strano mondo d'un militarismo così diverso da quello festaiolo che prevaleva in Italia. C'era qualcosa di misteriosamente sacerdotale in giro: veniva da pensare ad un immenso Vaticano dove Giovanni Calvino fosse stato papa a lungo, molto a lungo. 
Quando mi telefonarono dalla nostra ambasciata dicendomi che c'era un invito da parte dell'addetto militare, mi sentii gelare. Come, ancora militari? Tutto desideravo fuori che questo . . . Quale non fu la mia sorpresa, entrando in casa Scalise a Tokio, nel trovarmi di fronte ad un autentico, intelligente umanista, un uomo che aveva impiegato gli anni trascorsi nella capitale nipponica - non tra parties e cacce alle anitre, tra notti nello Yoshiwara ed intrighi d'alta società, come facevano normalmente i suoi colleghi d'altri paesi - ma studiando a fondo la civiltà giapponese, la sua lingua, i suoi tesori d'arte e di pensiero. Ricordo ancora che alcune cose dettemi allora sul culto imperiale, sui rapporti del tutto particolari tra sacro e profano, furono come un lampo che illumina una scena notturna facendomi capire quanto avevo percepito, ma non ancora analizzato col pensiero. 

Frutto degli studi e delle ricerche, seguite per anni con impegno e pazienza da Guglielmo Scalise, fu un Dizionario Italo-Giapponese, di cui conservo ancora una copia regalatami dall'autore. 

Dopo la guerra Guglielrno Scalise trovò nella ricchezza delle proprie risorse interiori numerosi motivi d'una rinascita - la molla d'una guarigione sia dal male fisico, sia dallo smarrimento spirituale. Per moltissimi uomini della sua generazione, diciamo quella dei nostri padri, la disfatta, il crollo d'un mondo in cui, ciascuno a suo modo, avevano creduto, spesso dando il meglio di loro stessi - fu un trauma quasi mortale. Non così per Guglielmo Scalise. Il Giappone, ch'era inizialmente stato per lui un episodio, divenne un tema - il tema dominante dei suoi anni rimanenti, delle sue feconde attività. 

Nel 1954 Scalise prese la libera docenza e da allora in poi insegnò alla Università statale di Milano. Contemporaneamente fondò e diresse la sezione Lombarda dell'IsMEO, gevernando l'istituzione per ben quindici anni. Sotto questo aspetto (apro qui una breve parentesi) la vita di Guglielmo Scalise ha delle somiglianze con quella d'un altro militare italiano, Bartolomeo Balbi, il quale ai primi del novecento, dopo un periodo trascorso in Giappone, fu attivissimo maestro di lingua e di cultura giapponese a Napoli. 

Frutto degli studi giapponesi di Guglielmo Scalise furono, non solo numerose dispense ch'egli redigeva per i suoi studenti, non solo un ottimo dizionario dei Tōyō Kanji, ma anche la traduzione d'un'opera di Junichiro Tanizaki, il romanzo "La madre del generale Shigemoto", pubblicato da Mondadori. In questi anni Guglielmo Scalise tornò con particolare tenerezza ai ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza, pubblicando un volume di saggi dal titolo "Calabria amara". Lui calabrese della luce, vedeva ed analizzava le ombre e le durezze d'una Calabria delle tenebre, con particolare felicità d'intuito. 
Gli ultimi anni della sua vita, Guglielmo Scalise li trascorse nell' eremo di Proserpio, vicino al lago di Como. E qui l'autentica umanità, la natura genuina d'un grande cuore, ebbero modo costante di manifestarsi: uomini d'ogni grado e condizione, che avevano militato con lui in pace e in guerra, lo cercavano per averne consigli, guida, anche aiuti concreti nel disbrigo di pratiche, nel riconoscimento di diritti. A nessuno egli si negava; per tutti si prodigava con generosità ed amore. Ecco che chiamarlo "Generale Scalise" parve un non-senso; tutti spontaneamente adottarono il più intimo ed affettuoso "papà Scalise". Vorrei che anche per tutti noi egli restasse nella memoria, non come Generale Scalise, ma come "papà Scalise". 

Di fronte alla morte, in occidente, è naturale parlare di Dio - e Guglielmo Scalise era un credente di vecchio stampo, un uomo per cui le coordinate dell'universo hanno senso ben preciso ed appaiono piantate senza tentennamenti nella realtà: qualcosa di cui non si dubita nemmeno per scherzo. Ahimè! Per noi il suo mondo - a diritto od a torto - è divenuto sospetto. Le splendide certezze sono crollate. l nomi d'oro, i simboli supremi, le parole magiche d'un tempo suonano penosamente retoriche - e ne rifuggiamo. D'altra parte il grande mistero che tutti ci ammanta e circonda resta, resterà sempre. Forse nessuno seppe sfiorare ed evocare l'arcano così delicatamente e pungentemente insieme, quanto i poeti della Cina. 
T'ao Ch'ien, che visse nei secoli bui, travagliati come il nostro, tra fine Han e inizio T'ang, forse sedendo sulla soglia della propria capanna scrisse: 
"Come volge il cielo, le stagioni vanno; 
compiuta l'opera, si prendon congedo .. " 

Credo sarebbe piaciuta a papà Scalise questa immagine in cui le vicende del cielo, i mutamenti ciclici delle stagioni nel loro incanto sottile, ed il destino dell'uomo, sono velatamente - eppur cosmicamente - congiunti."